Il contributo del Buddismo e del Cristianesimo alla pace nel mondo

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  1. Lotus_-|
     
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    Salve a tutti! :_ciaociao:

    Inauguro la mia entrata in questo bel forum, condividendo con voi, un bel articolo pubblicato dal Buddismo e Società n.105 luglio agosto 2004 (che fra l'altro è un numero interessante, con lo speciale Incontro con i cattolici")

    L'articolo è stato scritto da Karl M. Woschitz, professore di Teologia biblica all'Università di Graz, Austria
    ed è stato tradotto in italiano da Roberta Calandra

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    La questione della pace come "utopia di sopravvivenza globale" ha assunto una nuova urgenza, in considerazione dell'aperta e strutturale violenza delle guerre e della "mancanza di pace organizzata". L'argomento della pace sembra essere diventato una vera e propria dichiarazione di intenti per entrambe le più significative e diffuse religioni, Cristianesimo e Buddismo. Infatti in entrambe la pace è un valore basilare e costituisce una sfida radicale nelle turbolente circostanze mondiali.
    L'assenza di pace accompagna la nostra storia come una lunga ombra scura. Inoltre un rapido sguardo alle religioni dei popoli mostra come, accanto alle divinità legate alla prosperità, a quelle della terra e dei cieli venerate in funzione della loro vicinanza alla vita umana, ci siano sempre state anche le divinità della guerra. Allo stesso tempo, l'utopia di un'età dell'oro dove non esistono né violenza né conflitto è da sempre annoverata tra le speranze e le aspirazioni degli esseri umani.
    Una rapida occhiata alla storia del Cristianesimo e del Buddismo mostra quanto, durante la loro storia, queste religioni siano riuscite a produrre condizioni di assenza di pace. Nella tradizione di entrambe si incontrano discrepanze tra i messaggi di base e la loro manifestazione empirica; un'analisi della loro storia sembra suggerire la differenza tra la definizione teologica del "cristiano" e del "buddista" e la loro manifestazione storica, se si considera il loro essere compromessi in aggressioni militari e guerre. In questo senso emerge nuovamente la questione dell'impegno per la pace per il Cristianesimo e il Buddismo anche come compito di contribuire alla pace da un punto di vista sociopolitico. Quanto un modo di pensare repressivo, autoritario, punitivo e dogmatico gioca un ruolo nell'inibire un potenziale di pace?
    Non solo il contributo delle religioni è spesso ignorato da molti dei circoli di ricerca pacifista scientifica, ma viene addirittura rifiutato o squalificato perché esse sono considerate antagoniste alla pace dal momento che svolgono generalmente una funzione stabilizzatrice del sistema.

    La visione buddista
    In quale misura è stato sviluppato l'argomento "pace" (e diritti umani) nella seconda grande scuola buddista, il Mahayana ("grande Veicolo"), che grazie alla sua capacità di accoglienza si propone di aprire il sentiero della redenzione a una gran moltitudine di persone, anzi a tutti gli esseri? [...] A tale riguardo bisogna partire da tre concetti fondamentali: l'ottenimento della Buddità, "diritto di nascita" nonché il più alto obiettivo di tutti gli esseri; l'insegnamento della "mutua dipendenza", ossia l'insegnamento della "relazione" o "relatività" di tutti gli esseri; e l'insegnamento del karma, che riguarda la causalità dell'azione.

    L'ottenimento della Buddità
    [...] Secondo i più alti insegnamenti del Buddismo tutti gli esseri viventi e le cose inanimate possiedono e hanno sempre posseduto la natura di Budda o l'essenza della Buddità (giapp. Bussho); è così possibile sperimentare questa assunzione di originale perfezione e conquistarla nella vita quotidiana. Secondo il Sutra del Nirvana, ogni essere umano ha in sé il potenziale di diventare un bodhisattva, cioè un "essere illuminato". La strada è nella pratica sistematica del perfezionamento delle virtù, nello sforzo verso la Buddità attraverso le paramita (letteralmente azioni trascendenti, virtù trascendenti, perfezioni), che annoverano virtù quali la generosità, l'etica, la pazienza, l'energia, la meditazione e la saggezza.
    Ma la caratteristica determinante per chi lotta per la Buddità è la compassione (karuna), una sorta di "empatia attiva" e affettuosa considerazione. Si estende a tutti gli esseri viventi ed è basata sull'esperienza dell''unità di tutti gli esseri nell'Illuminazione (bodhi). Per poter intervenire correttamente, karuna deve accompagnarsi con la saggezza (prajna). Un bodhisattva dà inizio per primo a un aiuto attivo, e desidera prendere su di sé le sofferenze di tutti gli esseri e trasferire agli altri i meriti karmici acquisiti con queste azioni.
    La virtù della compassione è personificata dal bodhisattva Avalokitesvara (giapp. Kannon), uno dei più importanti bodhisattva del Mahayana. Il suo nome significa "Colui che percepisce i suoni del mondo" o anche "il suono che illumina il mondo". L'altro aspetto essenziale della Buddità è invece la saggezza, (prajna), impersonata dal bodhisattva Manjushri (giapp. Monju) che significa letteralmente "Colui che è nobile e gentile".
    [...]

    La mutua dipendenza
    L'idea di mutua dipendenza (definita anche origine dipendente, n.d.r.) tra i fenomeni considera ogni cosa in relazione con l'altra. Nella raccolta del Canone Pali, il Majjhima-nikaya, si dice: «Se questo esiste, quello esiste. Se questo non c'è, allora anche quello non c'è. Poiché questo viene al mondo, quello viene al mondo. Poiché questo sparisce, quello sparisce». Dietro queste affermazioni c'è l'idea che nulla in questo mondo esiste di per sé, ma solo in relazione a qualcos'altro, e ciò implica un rispetto reciproco attivo del potenziale della Buddità inerente in ogni essere vivente. Nel Sutra del Loto (sanscr. Saddharma pundarika sutra, cioè "Sutra del Loto della Buona Legge"), che contiene i concetti essenziali del Mahayana assieme all'insegnamento dell'essenza trascendente del Budda e della possibilità di redenzione universale, c'è il discorso della pratica della compassione del bodhisattva Sadaparibhuta (giapp. Fukyo), che venerava ogni persona in virtù della sua potenziale Buddità. Raggiungere la Buddità significa cancellare la dipendenza e l'illusione egocentrica; dedicarsi agli altri con solidarietà e profondo rispetto.
    Si ritiene che questo sutra sia stato esposto dal Budda verso la fine della predicazione dei suoi insegnamenti, ma che sia stato trascritto solo nel 200. Lo studioso cinese Miao-lo (711-782), restando nella tradizione del Sutra del Loto, sviluppò il principio di "inseparabilità di individuo e ambiente", una relazione simbiotica tra persona e natura.


    Il karma
    L'idea del karma come causalità dell'azione implica che ognuno porti con sé una responsabilità etica delle proprie azioni: ognuno crea infatti il suo proprio karma attraverso il pensiero, la parola e l'azione. La parola sanscrita "karma" significa infatti "azione" e, in accordo con il pensiero buddista, è la legge universale di causa ed effetto. [...] Nell'idea del karma, il mondo interiore e quello esteriore delle persone sono centrali, così come è attribuito grande significato alla memoria più intima dell'individuo, poiché solo questi possono assicurare una coesistenza pacifica ed armoniosa. [...]

    Un'analisi buddista dello stato della mente umana
    Gli insegnamenti che giacciono alla base della fondazione del Buddismo e del Cristianesimo riflettono la predicazione e l'insegnamento del Budda e di Gesù, che vennero raccolti e trascritti dalle rispettive comunità dei discepoli. Nel primo Buddismo, inoltre, alla "parola del Budda" vennero correlate altre tradizioni. Le parti sostanziali della "parola del Budda" sono conservate nel canone Pali, una vera e propria rivoluzione spirituale che inizia con una analisi essenziale della condizione umana e offre a essa un sentiero spirituale terapeutico di salvezza. Il primo sermone, tenuto a Varanasi (Benares), mette in moto "la Ruota dell'insegnamento"; in questo discorso Shakyamuni afferma che tutto è dolore, transitorietà e "non-sé", poiché le cinque forme dell'esistenza umana (le cinque componenti o cinque aggregati, n.d.t.) - la forma di esistenza corporea, i suoi sentimenti, le sue percezioni, l'"interpretazione" fisica e la coscienza - sono transitorie. La ragione per l'esistenza della sofferenza è allora l'avidità umana (la brama, sanscr. trsna) nei confronti dell'esistenza, che condanna al ciclo di reincarnazioni.
    Secondo il pensiero buddista l'individuo è caratterizzato dall'avidità del suo desiderio di "voler essere sé", dall'aggrapparsi al sé e dal correlare ogni cosa al sé. È la "brama" (trsna), dove sono pienamente espresse simultaneamente l'"ignoranza" del vero (avidya) e la persistenza del transitorio-apparente (maya). Data questa considerazione di futilità del mondo, l'obiettivo della salvezza risiede nel Nirvana. Si potrebbe tentare un parallelo con il Cristianesimo accostando il termine "brama" alla parola "concupiscenza".
    Con l'aiuto del cosiddetto "ottuplice sentiero" - base sostanziale dell'insegnamento buddista - questo ciclo di interminabili reincarnazioni potrebbe essere condotto alla pace, alla conoscenza, al risveglio e all'estinzione (Nirvana). Il punto di partenza di tale insegnamento è un atteggiamento umanistico unito a una profonda esperienza etica e psicologica e a una intensa ricerca spirituale condotta attraverso le più varie forme dell'insegnamento. Tutte le forme di insegnamento sono comunque accomunate da questa originaria ricerca sul modo di superare la sofferenza.
    La questione centrale della secessione dal Brahmanesimo e dalla tradizione vedica operata dal Budda è la seguente: «È possibile esercitare dominio senza conquistare o essere conquistati?» (Samyutta-nikaya 4,20).

    Il Buddismo e la pace
    Assieme alla diagnosi della condizione essenziale di ogni persona fatta attraverso le cosiddette "quattro nobili verità" della sofferenza e delle cause che la generano, il Budda dà inizio a un percorso terapeutico gravido di conseguenze anche per la questione della "pace". Nell'etica buddista, che oscilla tra i due differenti pilastri delle quattro nobili verità da una parte e del Nirvana come luogo di riposo dall'altra, l'idea della pace è fondamentalmente condotta su un doppio binario: la forma della "non-offesa" (ahimsa) - inizialmente intesa come regola radicale per la comunità monastica, più tardi estesa comunque come proibizione contro ogni uso della forza anche per tutti gli altri - e la forma di un impegno positivo nell'amore verso tutti gli esseri (maitri) e nella compassione (karuna). Come prerequisiti per l'esperienza di salvezza entrambe contengono un potenziale per una gestione pacifica del conflitto che trascende l'interesse individuale della persona impegnata nel processo di auto-perfezionamento.
    Può questo potenziale di pace essere tradotto in una pratica politica e sociale, applicabile poi universalmente in linea generale? La nozione di ahimsa come forma di nonviolenza, cioè preferire la sofferenza piuttosto che rispondere alla violenza con la violenza, porta alla questione se possano esistere per il presente nuovi approcci derivati dalla tradizione del primo Buddismo. Sarvodaya è un programma di questo tipo, sviluppato in un contesto buddista e finalizzato allo sviluppo religioso ed etico-sociale dell'individuo.
    Inoltre, in quale misura queste idee tradizionali possono essere reinterpretate nuovamente e ampiamente così da essere utili a una comprensione della pace realizzata attraverso una estesa riforma etica e sociale e basata allo stesso tempo su un cambiamento nella coscienza dell'individuo?
    Utilizzare il tradizionale concetto di maitri (metta) come rispetto per tutti gli esseri viventi può costituire un buon punto di partenza per partecipare attivamente all'azione compassionevole (karuna) di rimozione della causa della sofferenza. Questa dovrebbe condurre, attraverso mudita - la simpatia - all'imparzialità (upekkha/upeksa), e quindi a una personalità armoniosa.
    Attraverso gli scambi transcontinentali l'insegnamento buddista raggiunse la Cina tramite l'estremo orientale della Via della Seta e arrivò fino all'Asia orientale e al Giappone, dove sviluppò nuove prospettive e dimensioni spirituali. Il Buddismo poté dunque adattarsi ai più vari ordini sociali, come la società rurale del Sud est asiatico o la moderna società industriale del Giappone, così da meritarsi la definizione di fenomeno universale della cultura umana.
    Nichiren (1222-1282), nel suo movimento di riforma, vede la verità onnicomprensiva nel Sutra del Loto: attraverso il pronunciare il Namu-myoho-renge-kyo, - "è reso omaggio al Sutra del Loto del Dharma meraviglioso" - si ottiene la condizione del massimo stato vitale del risveglio di Shakyamuni, dal quale deriva naturalmente ogni comportamento eticamente corretto. [...] Nichiren applica il messaggio religioso del Sutra del Loto al suo tempo e al suo paese e ne trae energia e completa fiducia in se stesso. Anche se altre tradizioni buddiste avevano molto enfatizzato la salvezza individuale, Nichiren andò ben oltre, lottando per una riforma religiosa e sociale a livello dell'intero paese.
    Il neo-movimento buddista Soka Gakkai ("Società per la creazione di valore") è impegnato a proseguire su questo sentiero. Il motto della Soka Gakkai è promuovere la pace, la cultura e l'educazione attraverso il Buddismo, e in questo cammino l'aspetto esterno e mondano procede di pari passo con l'aspetto spirituale. Il movimento trae la sua fondamentale ispirazione da Nichiren e dal Sutra del Loto e si considera fondamentalmente laico e socialmente impegnato.
    [...]

    Le religioni e la pace nel mondo
    La pluralità e diversità di visioni del mondo, la globalizzazione e l'innalzarsi della soglia di violenza sfidano entrambe le religioni a riorientarsi tra tradizione e rinnovamento in modo radicalmente nuovo. Nel frattempo è proprio la questione della pace a diventare un importante catalizzatore nonché indizio di cambiamento religioso. Il tema della pace tra le religioni diventa una missione pressante, nel senso del mantenimento della tolleranza e della ricerca di modelli di collaborazioni costruttive tra diverse posizioni religiose.
    Subito dopo la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani, nel 1453, Nicola Cusano scrisse il testo De pace fidei (per opporsi all'idea di una nuova crociata contro "gli infedeli", n.d.t.), dove nel secondo capitolo afferma: «Così tu, al quale hai dato vita ed essere, sei quello apparentemente ricercato tra le diverse religioni in modi differenti, sotto diversi nomi, perché resti nascosto e inespressivo nel tuo vero essere» (traduzione diretta della citazione). Alle soglie di una nuova era Cusano tenta quindi di attribuire «tutte le differenze di religione all'unica vera fede» (cap. 3). Un'etica di pace deve riflettere norme di comportamento sovraindividuale, che hanno la più alta rilevanza morale. Etimologicamente la parola ethos originariamente significava "il posto abituale della vita", cioè la casa, le abitudini, la personalità, i costumi e le tradizioni.
    L'essere umano si sviluppa nella storia manifestandosi in qualcosa di predeterminato, nel senso che trova se stesso confrontandosi con un ambiente naturale preesistente al quale reagisce e nel quale si realizza (liberamente). Allo stesso tempo vive in un mondo di altri esseri umani nel quale si riconosce come individuo socialmente integrato. Si trova cioè in un mondo le cui relazioni sono regolate da princìpi di valore con una propria validità e dei propri obblighi, in bilico tra ciò che è e ciò che deve essere. Il problema vero è fare il punto su cosa significhi "dovere", ovvero quale accento dovrebbe avere questa moralità.
    Un'etica di pace deve rispondere a tre domande:
    1. qual è la struttura necessaria al mantenimento della pace?
    2. quale tipo di impegno deve comportare?
    3. quali sono i contenuti della "pace", lo "standard morale" che deve essere stabilito e legittimato?


    Pace e giustizia
    Le realtà sociali - e specialmente politiche - sperimentate storicamente sono state ripetutamente marchiate dalla violenza umana. È un fatto - latente o manifesto - che l'uso morale, fisico o psichico della violenza genera una forma di autodifesa individuale (diritto di resistere) o "collettiva" (bellum iustum, la "guerra giusta") attraverso il postulato della "commensurabilità". L'ipotesi teoretica di base è quella per la quale la violenza è semplicemente una funzione data - e perciò necessaria - di ogni ordine storico-sociale, indispensabile per difendere un sistema legale "liberale" o per liberare classi sociali oppresse. L'alternativa tra uso della violenza o della nonviolenza diventa quindi un "problema fittizio". L'impersonale "regno di nessuno" dei burocrati - dal cui funzionamento dipende la soddisfazione dei più vitali ed essenziali bisogni della vita quotidiana all'interno delle moderne società industriali - promuove tendenze espansionistiche che sviluppano nuove forme di violenza. Gli atti di terrorismo diventano perciò le modalità della disperazione nei processi politici. La guerra, considerata come una naturale possibilità di un processo politico, provoca inoltre un incremento degli armamenti considerato come una naturale garanzia di "pace".
    L'assioma è valido: non c'è pace senza giustizia. Ma la giustizia può essere vista da molte angolazioni: come virtù, come base di legalità, come condizione fondamentale di vita sociale, come idea religiosa e come concetto teologico. Tutti questi aspetti si sovrappongono gli uni agli altri. Comunque, al di là delle loro differenti espressioni, resta l'unità di contenuto del «riconoscimento degli altri esattamente nel loro essere differenti» (F. Böckle). Da un punto di vista storico, questo implica una progressiva auto-esplicazione del comune senso morale dell'umanità e della sua entità, il cosiddetto "essere umano", intesa come una missione da ricercare per un'intera esistenza.
    In un'etica cristiana la questione si pone nei termini di come le persone possano essere giuste e come possano agire secondo giustizia. La prima questione si inquadra in una dimensione teologica quando l'apostolo Paolo per primo definisce le persone "assolte dalla vita" se "assolte da Dio", attraverso la condivisione della salvezza. Qui la grazia divina è percepita in netta superiorità rispetto alla giustizia umana, considerata invece fallibile.
    Comunque la misura della giustizia come fondamentale condizione di vita comune è sia la costante volontà di far sì che a ognuno siano attribuiti i propri diritti sia la volontà di amare, dove l'altra persona è vista come qualcosa in più della somma dei propri comportamenti. La giustizia come principio di ordine deve essere una giustizia "compensativa" tra i sottoinsiemi di un sistema sociale (equilibrio di interessi, contratto, scambio); deve essere una giustizia "distributiva" dell'intero tra sue parti assicurando a ciascuna un'equa porzione di benessere comune, e infine deve essere "legalmente" giusta nel comportamento dell'individuo verso la sua comunità (sistema legale, doveri verso il pubblico benessere). Oltre a questi aspetti si potrebbe parlare di una giustizia sociale che permetta lo spazio per lo sviluppo della persona.
    In una "società responsabile" sono questi gli sforzi principali e prevalenti per stabilire e mantenere la giustizia sociale e per realizzare un'interazione partecipativa e vitale; per sancire il rifiuto del razzismo e delle tendenze discriminatorie, il rispetto per la dignità umana, i diritti umani e le libertà fondamentali compresa la libertà di religione.
    Nella dichiarazione dei diritti umani, la "libertà dalla paura" è indicata come una delle questioni più importanti. L'angoscia esistenziale gioca un ampio e spesso decisivo ruolo sia nell'ambito individuale che in quello collettivo, e il suo superamento è uno dei più grandi sogni - un'utopia - dell'umanità sin dai suoi primordi.
    Fattore promotore della pace è l'approfondimento della cooperazione internazionale tra gruppi etnici e stati vicini, a livello culturale, umanitario ed educativo, mediante scambi finalizzati a conoscersi reciprocamente sia a livello sociale che attraverso il dialogo religioso. A livello internazionale la questione "sviluppo" è il nuovo elemento essenziale della questione pace, che deve fronteggiare soprattutto il dramma del crescente impoverimento dei paesi del cosiddetto "terzo mondo".

    Pace e tolleranza
    Malgrado alcune distorsioni, la tolleranza è diventata un principio di condotta necessario proprio in tempi di molteplici rischi dell'esistenza sociale. È un'espressione di generale solidarietà umana all'interno del processo di globalizzazione e dei problemi di una società pluralistica che sostiene il diritto alla vita e la volontà di evolversi di coloro che hanno un'opinione differente - specialmente delle minoranze e dei gruppi a margine. L'escalation di violenza e di intollerante fanatismo razzista o di stampo religioso può essere superata solo se le religioni e le filosofie di vita si rispettano le une con le altre ed esprimono stima reciproca. La tolleranza, come atteggiamento basilare della politica sociale, non può essere stabilita istituzionalmente, ma è una missione urgente dell'esistenza religiosa, motivata dalla convinzione di assoluta dignità e libertà dell'individuo così come dal riconoscimento della libertà e dell'individualità degli altri.
    La tolleranza non reclama in alcun modo la resa "dei propri ideali". Ne afferma l'esistenza ma non li rende assoluti, perché desidera permettere all'altro la sua alterità e proteggerla da minacce. In conformità con il Vangelo (Luca, 6:36): «Voi invece amate i vostri nemici, fate del bene, date in prestito senza sperar niente; allora la vostra ricompensa sarà grande; e voi sarete figli dell'Altissimo, perché è buono con gli ingrati e coi cattivi. Siate dunque misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro». Naturalmente la tolleranza non può essere illimitata: se l'altro danneggia gravemente se stesso e l'umana coesistenza attraverso il suo comportamento, in questo caso proteste, rimproveri e biasimo sono appropriati e anzi richiesti.


    Pace, umanità, amore

    [...] Entrambe le religioni sono dunque chiamate a contribuire a una "umanizzazione dell'umanità" e al superamento di un potere disumano. Ciò significa la conferma della volontà di sopravvivenza, che include il mutuo rispetto, la volontà di impedire che gli esseri umani siano degradati meramente a "mezzi". Concretamente riguarda la volontà di ridurre i fattori negativi e i potenziali di sofferenza, di incrementare il benessere e la prosperità per tutti, di assicurare il diritto alla vita per ciascuno, di umanizzare il mondo del lavoro, di estendere la difesa sociale e l'assistenza sanitaria, di abolire la tortura e la pena di morte.
    Dal momento che l'etica umana è parte dell'essere umano, entrambe le religioni sono chiamate a interagire per proteggere ciò che è umano, cioè agire in accordo morale al fine di creare le condizioni perché possano esistere quelle basilari forme di umanità riconosciute come elementari e indispensabili (rinnovabili per ogni generazione).
    Dal punto di vista del Cristianesimo, un'autentica liberazione e umanizzazione dell'umanità ha a che fare con il riconciliarsi a Dio della sofferenza e dell'imperfezione umana. Allo stesso tempo il credente comprende la necessità di prendersi cura di tutti quelli che soffrono e sono in condizioni di infelicità se non di pericolo per la loro stessa vita. L'amore come integrale compimento dell'essere umano di conseguenza impegna la specie umana, in accordo con la comprensione di un'umanità cristiana dove non c'è valore per coloro che trascurano il "comandamento" dell'amore. Essere una persona non significa semplicemente essere tale solo per sé, quanto piuttosto trovare se stessi e realizzarsi nel "con-essere", cioè nell'essere per gli altri e nell'interesse degli altri (cfr. Matteo 10:39). Questa sorta di sguardo aperto al dialogo verso un "tu" (cfr. Martin Buber; Ferdinand Ebner) rompe l'idea di una mera autonomia del sé come soggetto morale. In accordo con l'insegnamento cristiano, c'è una connessione diretta tra carità e amor di Dio. Dio si dispiega attraverso il principio dell'amore, così l'amore cristiano è un amore che risponde a questa proposta di amore. «Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda: amatevi l'un l'altro come io ho amato voi» (Giovanni 13:34).
    Oltre trenta anni fa è nata la "Conferenza mondiale delle religioni per la pace", per contribuire alla realizzazione della pace nel mondo. Si voleva dar vita a un confronto sui gravi problemi e sugli impegni necessari ad assicurare una pace permanente. I punti fondamentali di discussione furono i seguenti:
    La giustizia è un valore centrale indispensabile per la pace.
    L'uso della violenza e della guerra non devono essere visti come un mezzo politico, bensì come un fallimento della politica. Gli atti della Commissione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE) di Helsinki del 1975 indicano un sentiero verso la riduzione della tensione politica attraverso "strumenti per costruire fiducia". Dovrebbero essere promossi e sviluppati concetti di educazione alla pace, risvegliando una consapevolezza internazionale a tale riguardo, anche attraverso la prospettiva di una formazione sovrareligiosa per la giustizia e la cooperazione.
    Da un punto di vista individuale questo ha a che fare con alcune questioni: quali criteri di impegno assoluto e quali valori dovrebbero essere assunti come punti di partenza? Per cosa ha senso lottare? Cosa arricchisce, rende felice, arreca benefici ed è stimolante per le persone?
    Si possono stabilire diversi gruppi di valori, affermati, rispettati o auspicati dall'umanità: valori religiosi, estetici, morali, artistici, economici e altri. Tali valori risvegliano gli interessi degli esseri umani, stimolano sfide e motivazioni, influenzano il loro pensiero e le loro azioni. L'umanità considera invece come disvalore ciò che percepisce come minaccioso e pericoloso, che rifiuta e respinge. Attraverso tali riconoscimenti e repulsioni le persone formano le basi della loro esistenza morale e del loro comportamento costruendo mentalità, convinzioni, atteggiamenti e azioni. Giustizia, verità, libertà, benevolenza, vita, sono i valori di riferimento, da praticare più e più volte. La loro importanza risiede nel fatto che sono elementi formativi per l'area intersoggettiva e personale e comportano un accresciuto senso di responsabilità.


    La lotta per la pace vista dalla Cristianità
    [...] È molto importante che l'etica teologica non reinterpreti erroneamente l'iniziativa di pace di Gesù (Matteo 5,38:41; 45:45: «"Voi sapete che è stato detto: occhio per occhio, dente per dente". Ma io vi dico di non resistere al malvagio; anzi se uno ti percuote nella guancia destra, porgigli anche l'altra. Se uno vuole litigare con te per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello. [...] Ma io vi dico: amate i vostri nemici, pregate per coloro che vi perseguitano», n.d.r.) e non si metta al servizio della violenza. Solo nella realtà di un'etica cristiana pienamente compresa il messaggio evangelico di un Dio di amore, che rispetta la libertà delle persone, diventa per la coscienza moderna un'alternativa reale all'attuale legittimazione della violenza.
    La proclamazione divina di Gesù e i suoi riferimenti a un regno di Dio esortano al cambiamento del comportamento umano (metanoia). La proclamazione dell'amore di Dio (Matteo 20,1:15) che supera ogni umana misura si riflette nella richiesta di redenzione (benedizione) e nel destinatario delle preghiere: Abba, o "amato padre". Davanti a questo Dio redentore, la posizione di figlio - un cuore solo, fiducioso e indiviso (Matteo 6:25, 28:30; 10:29-31) (Matteo 6:24 par.) - è di per sé l'unica adeguata (Marco 10:15). Gesù realizza la volontà di Dio nell'unificazione dell'amore di Dio e della carità (Marco 12:28-34) e si rivolge all'interiorità delle persone, che non viene raggiunta da alcuna "legge". La preghiera al Signore non solo chiede perdono per i peccati accumulati, ma anche protezione dalle nuove colpe. Sperimentare pienamente l'amore di Dio significa perdonarsi l'un l'altro, fino all'estrema conseguenza di amare il proprio nemico. Solo così può rompersi il circolo vizioso dell'odio in ogni dimensione dell'esistenza.
    [...] Nelle sue riflessioni teologiche Paolo comprende la morte di Gesù (1 Cor 15:3) come la manifestazione ineguagliabile dell'amore di Dio che si espande all'umanità e come la devozione compassionevole di Cristo per noi (Rom 5:6-8; Gal 2:20). In tale contesto religioso ogni credente battezzato è dunque una "nuova creazione" (2 Cor 5:17). L'indicazione di questa via di redenzione implica comunque l'obbligo del suo adempimento esistenziale (Rom 6:1ff; 8:1ff). Abbracciare lo spirito di "gioia" e "pace" e altri suggerimenti morali (Gal 5:13ff) non è possibile senza un amore attivo ("la legge di Cristo" Gal 6:2) (1 Cor 8:10-13). Per il cristiano il comportamento morale si deve fondare quindi su basi cristiane. [...]


    Conclusioni
    Poiché ogni catastrofe della storia avviene anzitutto in ciò che è morale e mentale, prima di manifestarsi in conflitti bellici e lotte per il potere, la formazione della coscienza morale è una delle nostre più urgenti missioni. [...] La pace, disse Immanuel Kant, sarebbe assicurata se il comandamento "non mentire" diventasse un principio. La sincerità è dunque un importantissimo elemento di pace. L'unicità dello scritto di Kant (Per la pace perpetua, 1795) consiste nel connettere ciò che "è", cioè la storia e la politica, con ciò che "dovrebbe", la morale. La pace consiste dunque nel rimuovere ogni possibile causa di guerra e può solo - considerando le "arti diaboliche" - trattarsi di pace nel mondo. Il potere intellettuale che guida la nostra epoca sembra essere quello della scienza. Le invenzioni fanno il giro del mondo, le armi atomiche possono cadere tra gli artigli di ideologie tiranniche e dittatoriali. Anche il linguaggio è diviso tra termini violenti e parole come pace, libertà e giustizia.
    In una nota autobiografica, lo scrittore tedesco Reinhold Schneider (1903-1958) scrive: «Il santo si erge sempre più decisamente come avversario della violenza. Il problema del potere, la domanda: cosa è imperativo? Cosa è permesso? non mi lasciano un attimo di tranquillità. [...] Ma allora io divento sempre più convinto dell'indistruttibile libertà dell'umanità - la sua libertà in Cristo - e della responsabilità cristiana verso il genere umano, verso i suoi pensieri, le azioni, i sogni e i desideri... il mio lavoro non è la costruzione di un sistema, ma un percorso che finisce nello scontro tra un'etica cristiana radicale e il potere mondano e ogni tentativo di deificarlo».
    Reinhold Schneider perora la causa di un Cristianesimo radicale mai realizzato prima, che non può fiorire in una delle confessioni ma deve trovare la sua strada nel mondo, così che possa scaturirne la "pace". Schneider ha ampliato e radicalizzato una tradizione europea di lotta per la pace, che ha i suoi predecessori in Erasmo, Sully, Leibniz, Kant, Hermann Hesse, Leopold Ziegler, Albert Einstein, Rousseau e molti altri.
    Anche l'insieme dei valori cui fa riferimento F. Dostoewskij è più radicale di quello agognato da Friedrich Nietzsche, quando sottolinea che il forte non è colui che versa sangue bensì colui il cui sangue è versato.
    La morale, comunque, resta affidata alla libertà personale e alla missione di un'intera vita.
     
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  2. axcutul
     
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    Benvenuto lotus!!

    Bellissima lettura, grazie!
     
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  3. nanjo
     
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    Confutazione alla Soka Gakkai e alle sette nichireniste fondate dai cinque preti anziani, comprese le sette derivate da queste.

    Vedi qui:
    http://confutazione-alla-sokagakkai-ed-alt...mcommunity.net/
     
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2 replies since 19/1/2009, 17:41   2602 views
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